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da ROMA, ed Guanda 2009
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Da dove la balaustrata prende il mare
Sfiorando con disperata vanità
D’Ostia gli scavi,
I resti oggi si scorgono di quello
Che potrebbe definirsi un edificio
Abitativo urbano di vaste dimensioni,
Una cafonata imperiale con disegni
Geometrici a mosaico e in marmo policromo,
Opus alexandrinum a confrontarsi
Con l’opus novum di un odierno
Evasore totale.
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Com’era il mondo dove sbarcò Enea
Al di sotto del piano di campagna?
Rimosso lo strato di cenere compatta
Appaiono ambienti d’epoca ellenistica
Già nel 79 dopo Cristo abbandonati
Per precedenti terremoti e inondazioni…
Erano tante Rome disperse nei villaggi,
Varrone già lo scrive col tono del racconto:
Mons Capitolinus era chiamato un tempo
Il colle di Saturno, e cita Ennio
Come in una favola, sul colle
Saturnia era detta la città…
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E presso Porta Mugonia al Palatino
Dalla casa dei Tarquini
Nel passaggio sotterraneo che conduce
Al santuario di Vesta
Scava ancora l’équipe per dimostrare
Come vuole il professore
Il legame tra i poteri:
Solo al re un diretto accesso era permesso
Al sacro fuoco.
Roma, Roma che ci scherzi ancora.
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Negli Horti Caesaris il dittatore ospitò Cleopatra,
A Villa Torlonia Mussolini, Hitler.
Quattro intestini ancora impauriti
Per le dimensioni dell’Oceano Esterno
Da placare con sacrifici.
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Da questo selciato composto
Di basoli in pietra calcarea
Si accedeva alla fortezza con funzioni di culto
E rifugio in caso di guerre: all’interno
Le tre nicchie con volte a botte per i sarcofagi.
Aveva diciott’anni Antonio Bosio
Nel 1593
Quando, entrato per un piccolo forame
Serpendo e col petto per terra,
Si ritrovò in santa Domitilla…
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“Sodomito”, vergò un giovane collega
Sotto una volta della Domus Aurea
Accanto al nome Pinturicchio
Autografo, come la sua invidia.
Vi si calavano i giovani pittori
E poi strisciavano fino a quei colori
E rilievi con stucchi. Lavoravano
Per ore con poca luce e pane
Tra serpi civette barbagianni
E poi vergavano la firma.
Erano accesi i loro sguardi vigili
E sguaiati. Erano maschi.
“Pinturicchio”, definì Del Piero l’Avvocato
Nel momento del massimo fulgore.
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Siamo tutti un po’ gibollati all’Ardeatina
Su cinque corsie dove al massimo
Dovrebbero starcene due
Senza caffè alle sette di mattina,
Alcuni furono finiti col calcio del fucile
Sono stati trovati col cranio sfondato
Erano ubriachi alla fine gli assassini
E sbagliavano la mira
Uno era qui accanto all’uscita ostruita
Si era trascinato in agonia.
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Sembra persino educata
La gente in centro al mattino
Che si è appena alzata
Coi silenzi dei rumori
E i pudori del cielo che si muove.
Qui in via dei Portoghesi te ne accorgi dai passi,
Che alle sette sui sampietrini
Risuonano come silofoni
Scossi da lievi mazzuoli.
E una volta scendendola ho scoperto
Che era via Rasella
La mia scorciatoia mattutina al Quirinale,
Poi vi ho cercato lapidi segnali. Nulla,
Fuor che nero fumo vecchie insegne
Imposte del tempo dell’agguato,
Qualche ciottolo scheggiato.